domenica 19 maggio 2013

La fiera del libro di Torino


Lo so: il nome giusto è Salone Internazionale del Libro. Ma a me non è sembrato questo. È il secondo anno che mi reco alla mecca degli appassionati del libro di carta (e non) e quest'anno l'impressione che ne ho avuta, vuoi anche la mia stanchezza nei confronti di questo mondo, è di un luogo dove, editori annoiati cercano di vendere i libri che non vendono in libreria. Altro che idee che osano: stessa pappa di sempre, solo che fredda e senza sale. Gli editori che hanno talento e soldi da spendere creano dei prodotti belli ristampando autori famosi: un po' come se Ferrè o Valentino usassero le migliori stoffe per rifare collezioni di abiti con la moda dell'ottocento. Son buoni tutti. Non ci vuole nessun particolare talento per ristampare autori V.I.P. che sono già stati testati sul mercato in migliaia di copie. Vi cito uno di questi editori perchè, a parte la sua "simpatia", merita di essere citato per la bellezza delle cose che fa. Ma non le comprerete facilmente, costano un occhio della testa. Questo è il suo sito (molto brutto se paragonato alla bellezza dei suoi libri - fatti a mano o quasi) http://www.henrybeyle.com/. E questo era l'unico degno di nota di tutta la fiera.

Poi vogliamo parlare del biglietto di ingresso? Far pagare per entrare in quella che non è altro che una grande libreria mi sembra assurdo: far pagare 10 euro un'ingiustizia. Mettiamo che io avessi avuto dei figli maggiori di undici anni e li avessi giustamente voluti portare con me per fargli vedere il meraviglioso ed immenso mondo dell'editoria. Alla fine avrei speso un capitale, peggio che andare al cinema a vedere un 3D (anche col "ridotto" a 8 euro). Insomma, l'ultima volta che ci vado. Cosa mi aspettavo? Qualcosa di più coinvolgente rispetto alle fiere degli ultimi dieci anni. Mi sembrano secoli che bazzico questo mondo (dell'editoria) e mi sento stufa. 
Unica cosa che voglio assolutamente citare: Sergio Ponchione e le sue opere a fumetti. Io le posseggo, le ho lette e ne ho tratto piacere grafico e narrativo. È BRAVO E SIMPATICO E NON SE LA TIRA. Pubblica con un editore che ha gusto e occhio, ma soprattutto che fa il fumettista anche lui. 



Per il resto, la fiera dura ancora un paio di giorni...andate e divertitevi :-)

giovedì 16 maggio 2013

È tempo di emigrare.


Sono tornata da Bruxelles da pochi giorni e mi rendo conto di una cosa non importante, fondamentale: mi sento un'extracomunitaria nel mio stesso Paese. Non so se quello che mi (o forse dovrei dire "ci") aspetta all'estero sia meglio o peggio, ma è un cambiamento e questo mi basta. Non è possibile vivere in un posto dove se cammini per strada con una borse della spesa del LIDL la gente ti guarda come se trasportassi droga: quel marchio è lo stendardo della vergogna di coloro che al Carrefour c'hanno il parcheggio prenotato, ma io continuo ad amarlo perchè ci sono i Bretzel appena sfornati. È così che ci si sente, girando per le strade del centro vestiti un po' alla cazzo per via di sto tempo orribile. Barbon style. Mi piace pensare di poter andare in un posto dove inviare un curriculum abbia ancora il minimo valore e non dover stare a sentire un professore che ti dice "Beh sì, magari una ventina di anni fa li avrebbero anche letti i vostri curriculum, ma adesso...". E come non citare la differenza tra l'Italia e il Belgio che si nota per prima, invasi dalle pozzanghere, armi di distruzione di massa? Lì la gente inizia a frenare un centinaio di metri prima delle strisce pedonali, qui accellerano per aumentare la portata dell'onda anomala che investirà pedoni, carrozzine e biciclette. 
E poi ultima, ma non meno importante: il piacere di vedere delle aiuole dove, se il comune pianta dei fiori, i cittadini non se li rubano due ore dopo. Semmai li annaffiano.