Sono tornata da Bruxelles da pochi giorni e mi rendo conto di una cosa non importante, fondamentale: mi sento un'extracomunitaria nel mio stesso Paese. Non so se quello che mi (o forse dovrei dire "ci") aspetta all'estero sia meglio o peggio, ma è un cambiamento e questo mi basta. Non è possibile vivere in un posto dove se cammini per strada con una borse della spesa del LIDL la gente ti guarda come se trasportassi droga: quel marchio è lo stendardo della vergogna di coloro che al Carrefour c'hanno il parcheggio prenotato, ma io continuo ad amarlo perchè ci sono i Bretzel appena sfornati. È così che ci si sente, girando per le strade del centro vestiti un po' alla cazzo per via di sto tempo orribile. Barbon style. Mi piace pensare di poter andare in un posto dove inviare un curriculum abbia ancora il minimo valore e non dover stare a sentire un professore che ti dice "Beh sì, magari una ventina di anni fa li avrebbero anche letti i vostri curriculum, ma adesso...". E come non citare la differenza tra l'Italia e il Belgio che si nota per prima, invasi dalle pozzanghere, armi di distruzione di massa? Lì la gente inizia a frenare un centinaio di metri prima delle strisce pedonali, qui accellerano per aumentare la portata dell'onda anomala che investirà pedoni, carrozzine e biciclette.
E poi ultima, ma non meno importante: il piacere di vedere delle aiuole dove, se il comune pianta dei fiori, i cittadini non se li rubano due ore dopo. Semmai li annaffiano.
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